Le strategie del piano di risanamento
Il Piano è lo strumento con il quale l’imprenditore esplicita le strategie di riorganizzazione strutturale della propria azienda. Si tratta, pertanto, di uno strumento che l’azienda dovrebbe comunque utilizzare, indipendentemente dalla situazione di crisi o dal volere utilizzare i benefici dell’art. 67. Nel Piano, infatti, sono rappresentate in modo analitico le idee dell’imprenditore e del management aziendale, esso rappresenta una via maestra, controllabile, in cui è rappresentato il futuro immaginato dell’azienda.
Il Piano può essere diviso in due parti:
- La prima parte determinata dalla strategia dell’impresa ed è dipendente soltanto da fattori interni ad essa.
- Nella seconda parte sono, invece, previste delle assumption che in seguito saranno, eventualmente, accettate dai creditori. Proprio per agevolare tali adesioni, risulta funzionale l’applicazione dell’art. 67 l.f., garantendo l’immunizzazione dalla revocatoria per gli atti previsti all’interno del Piano la cui ragionevolezza sia attestata da un professionista in possesso di alcune caratteristiche professionali.
Le strategie dell’impresa partono, naturalmente, dalle ragioni della crisi (http://crisieaziende.wordpress.com/2011/08/03/segnali-deboli-di-crisi/). Nel caso di una crisi economica il Piano dovrà, chiaramente, fare emergere le strategie per il superamento di tale crisi che, in estrema sintesi, possono sintetizzarsi in:
- Incremento dei ricavi, mediante individuazione di nuovi mercati di riferimento.
- Decremento dei costi, attraverso una riorganizzazione interna al fine di ritornare in equilibrio, anche in presenza di un minor volume di fatturato.
La ricerca della crescita dei ricavi o anche solo il mantenimento di volumi di fatturato attraverso la penetrazione di mercati complementari è, senz’altro, molto difficile quando si vive una crisi aziendale. Tali operazioni, infatti, sono sempre accompagnate da investimenti, quanto meno nella parte commerciale e di marketing. Gli investimenti, per loro natura, dovranno prevedere delle fonti di finanziamento nel medio lungo periodo per non creare un ulteriore sbilanciamento nella finanza aziendale. In un momento di crisi tali forme di finanziamento saranno, presumibilmente, di difficile reperibilità nel mercato, già preoccupato dell’andamento aziendale. Anzi, una strategia espansiva, in un momento di crisi, può essere percepita esternamente in maniera negativa, evidenziando una mancanza di focus sugli effettivi problemi dell’impresa.
Viceversa, il contenimento dei costi, anche se accompagnato da programmi d’investimento per la riorganizzazione aziendale, ottiene sempre grande riscontro in chi, esternamente all’azienda, lo vede attuare. Come indicato in precedenza, il primo passo per il contenimento dei costi è rappresentato dalla comprensione di dove questi maturano, attraverso un’analisi per centro di costo, di profitto o di commessa (per le aziende organizzate per questo tipo d’attività). L’analisi deve vertere sui risultati ottenuti da ogni singolo centro di costo, di profitto o commessa. Le tecniche da usarsi sono le tradizionali analisi, attraverso il metodo del direct costing, ossia mediante l’analisi dei costi che, direttamente, possono essere imputati ad i centri ed attraverso il full costing, ossia mediante imputazione, ai centri di profitto o alle commesse, non soltanto dei costi diretti, anche dei costi indiretti. Detti costi, quali quelli risultanti dall’imputazione ai centri di costo riferiti alle spese generali o delle attività ausiliarie, dovranno essere “ribaltati” ai centri di profitto o alle commesse, attraverso uno o, preferibilmente, più parametri (metri quadri occupati, numero di persone, ore lavorate etc.). Su tali argomenti ritorneremo in maniera più approfondita in altro articolo.
Nei casi in cui la crisi pervenga da uno squilibrio finanziario, sempre per la parte inerente alle sole scelte interne dell’azienda, potranno essere previsti, oltre al sopraccitato, ovvio, miglioramento dell’efficienza economica aziendale, la dismissione degli asset, il conferimento di beni, la ricapitalizzazione dell’azienda in maniera stabile, attraverso aumenti di capitale o in alternativa attraverso dei finanziamenti da parte dei precedenti o di nuovi soci.
In tutti i casi, visto che il presupposto del Piano è che l’azienda viva un momento di crisi, il riequilibrio finanziario è una condizione necessaria per il superamento della crisi, ma purtroppo, non sufficiente. Rimarranno, inesorabilmente, alcuni effetti della crisi anche quando l’azienda sarà risanata. In particolare, il piano dovrà prevedere due fondamentali azioni di recupero d’asset intangibili:
- L’immagine aziendale.
- Le risorse umane.
La crisi, infatti, avrà indubbiamente intaccato la credibilità dell’azienda nel mercato. Si dovrà, pertanto, prevedere delle risorse finanziarie per riqualificarne l’immagine e la sua reputazione, tanto verso i clienti quanto verso fornitori ed istituti di credito. L’azienda dovrà, attraverso mirate operazioni di marketing, dare dimostrazione di rinnovata forza ed affidabilità. Solo in questo modo sarà possibile attuare il Piano, riconquistando la fiducia di tutti gli stakeholders. Viceversa, senza di alcuna o insufficiente, azione per il recupero dell’immagine aziendale, ci troveremmo nel caso in cui, ad un dato momento, l’azienda risulti perfettamente in equilibrio finanziario ma che, successivamente, non riesca a produrre i livelli di fatturato indicati nel piano, per mancanza d’ordini da parte dei clienti e/o per mancate consegne di merci dai parti dei fornitori.
Le azioni di motivazione del personale risultano, anch’esse assolutamente strategiche e necessarie. Uno degli elementi più ricorrenti nei Piani di risanamento è, infatti, il ricorso alla cassa integrazione (attualmente resa possibile per tutte le attività con la modalità della “deroga”) o a licenziamenti per chiusura di rami d’azienda. Il personale residuale, previsto nel piano, sarà pertanto rappresentato dalle risorse chiave a cui l’azienda affida il proprio rilancio. Sarà pertanto assolutamente necessario non perderle. Tuttavia, tali risorse, proprio per avere vissuto il periodo di crisi, saranno sicuramente, più insicure e meno efficienti. La sola gratitudine all’imprenditore per averli scelti come risorse chiave per il futuro, pur essendo una forte componente di motivazione, non è sufficiente per l’efficienza richiesta in un periodo post – crisi. Sarà pertanto necessario prevedere adeguate azioni di motivazione del personale verso i nuovi obiettivi che l’azienda si è data. L’azienda, nel suo nuovo vestito, ha bisogno di ripartire, senza incertezze, e soltanto con la collaborazione e la motivazione delle proprie risorse umane può sperare di cogliere gli obiettivi previsti nel Piano.
La parte del piano che presuppone l’accettazione dei terzi, è quella che più di tutti è interessata all’art. 67 l.f.. Come già abbiamo avuto occasione di vedere (http://crisieaziende.wordpress.com/2011/08/17/aspetti-preliminari-del-piano-attestato-dal-professionista-nellart-67-legge-fallimentare/) infatti, l’imprenditore richiede, per l’attuazione del Piano, anche la collaborazione di alcuni stakeholders. Questi ultimi, se riterranno il Piano credibile ed i rischi ad esso connesso più bassi, della situazione in cui si trovano, possono avere interesse ad accettare le forme di collaborazione previste nel Piano.
Naturalmente, la loro decisione risulta maggiormente protetta e quindi più agevole con l’eliminazione del rischio di eventuali revocatorie previsto dall’art. 67 l.f..
Visto che gli atti che il legislatore intende proteggere sono quelli in “esecuzione” del Piano, tali atti dovranno essere successivi alla formulazione dello stesso. Per avere una valida consecutio temporale tra gli atti ed il Piano, visto che non è prevista alcuna forma di pubblicità dello stesso, sarà necessario, pertanto, dargli una data certa.
Giova ricordare che tutte le pattuizioni con soggetti terzi, discendendo unicamente dalla volontà tra le parti, per avere la protezione prevista dall’art. 67 l.f. dovranno necessariamente avere la forma scritta. Inoltre, visto che l’art. 67 non prevede, al contrario degli artt 182 bis e 160 l.f., la tutela da azioni cautelari o esecutive, si dovrà prevedere, in forma scritta, che il creditore conivolto s’impegni a non agire giudizialmente per il recupero delle somme da lui vantate.
Gli accordi con le parti terze rispetto all’azienda possono prevedere molteplici scenari che qui sintetizziamo ed esemplifichiamo:
- Stand still agreement: ossia l’accordo per l’inesigibilità del debito fino ad una certa data
- Consolidamento e riscadenzamento del debito: ossia il debito scaduto sarà pagato in un periodo di tempo congruo per la riuscita dal piano. Si trasforma la qualità del debito da breve a medio lungo. Il consolidamento può agire in abbinamento con lo stand still o con la promessa che i debiti che si formeranno da un certo momento in poi, saranno pagati senza alcuna dilazione.
- Remissione dei debiti o pagamento percentuale (falcidia) degli stessi a tutti o ad alcuni creditori.
- Conversione del debito: in capitale di rischio o in merci
- Diminuzione dei tassi d’interesse bancari sui finanziamenti o sull’autoliquidante.
- Aiuto nella ricapitalizzazione da parte di banche: finanziamento della società applicando un moltiplicatore delle somme che l’imprenditore immette nella società sottoscrivendo un aumento di capitale (ad esempio con un aumento di capitale per 1 milione di Euro moltiplicatore 2, il finanziamento sarà concesso per 2 milioni di Euro)
- Concessione di nuova finanza, presumibilmente garantita, a condizioni compatibili con il Piano con il mantenimento delle linee di credito autoliquidanti
- Trasformazione del debito risultante dalle linee autoliquidanti in medio lungo termine con mantenimento delle linee autoliquidanti.
E’ necessario rilevare che tutte le forme di finanziamento esterne, sopra indicate negli ultimi tre punti, aumentando il valore netto d’indebitamento della società, destano non poche preoccupazioni alle banche se non sono inserite in un programma più articolato di riduzione generale dei debiti e di miglioramento della proporzione tra il capitale di rischio e il capitale di terzi.